Un immaginario a memoria futura
La Regione Emilia-Romagna è un’invenzione recente nella lunga storia del nostro Paese. La data di nascita è quella dell’unificazione politica italiana, quando territori molto diversi per caratteri fisici e politici sono stati assemblati con esito felice. Invenzione-creazione politica certo, ma anche invenzione-reperimento sul piano della cultura. Sotto le molteplici differenze si è scoperta e rafforzata una singolarità culturale, d’un saper essere e d’un saper fare inimitabili. La congiuntura ha ritrovato una struttura: una civiltà, cioè una forma di vita profonda e durevole e un patrimonio inestimabile di prodotti economici ed artistici, scientifici e tecnici.
I confini che sono stati tracciati sono nello stesso tempo dei luoghi di scambio: dalle valli dell’Appennino – montagna valicata da tanti passi - al maggior fiume navigabile, il Po, fino alle rotte del mare Adriatico. E contengono un arcipelago di città collegate da una Gran Via, l’Emilia appunto, che le attraversa e le rende porose. Se mi è permessa la metafora, come un grande, antico ponte abitato, attraversato da altre strade già percorse da pellegrini, come la via Romea lungo il mare e la Francigena attraverso la montagna. Una fitta ragnatela urbanistica, per cui queste città - come nel Medio Evo le radure nella foresta - risultano immerse in un tessuto territoriale complesso – coltivazioni montane e geometrie di “colmata”, frumento e frutteti, allevamenti coi loro derivati - tra i più ricchi e civili d’Europa. Città grandi e piccole con le loro porte e i loro porti, che hanno sempre annodato con molti fili le tradizioni locali al Nord dell’Europa e all’Oriente.
Per queste caratteristiche, gli importanti insediamenti industriali si sono inseriti localmente, senza dar luogo al fenomeno ingestibile delle metropoli. Alla spinta globalizzante dell’economia fa da conscio contrappeso un localismo aperto o almeno dischiuso.
Sono gli uomini a fare i luoghi che li faranno. La Regione ha fuso le Romagne, con il loro retaggio bizantino, Bologna e Ferrara, col loro passato pontificio, Modena e Parma con i loro ducati “laici”; territori che la storia aveva in molti modi raggruppati e rifigurati, in città e signorie, in feudi e territori monastici. Ogni vero progetto politico fa comunità, costruisce in modo incessante una maniera di stare insieme, ma deve tener conto dell’indole degli abitanti e del loro stile di vivere, idiomatico quanto il dialetto. È indubitabile che poche genti in Europa presentano tale attenzione alla qualità dei nutrimenti terrestri che troviamo nell’architettura domestica fino agli spazi pubblici di convivenza; dai palazzi pubblici e signorili alle case rurali, dalle piazze ai portici. Donde la qualità che presenta la sua ospitalità e l’accoglienza privilegiata che offre al turismo. Non si dimentichi che è in Emilia che si è inventata la bandiera nazionale ed è in Romagna che si è tentato il solo progetto unificato d’una cucina italiana.
Ma i sapori non sono alternativi ai saperi, né le Arti e le Scienze all’Arte di vivere. Dai vasi etruschi e greci ai pittori (Correggio, Carracci o Morandi), dagli scultori delle cattedrali (Wiligelmo), ai registi cinematografici (Fellini e Antonioni), questa Regione si è data e ha dato a tutti coloro che hanno occhi per vedere, un Immaginario, cioè un incalcolabile repertorio di immagini, che costituiscono, come si dice nelle carte, il suo gran “gioco”. Nel tempo le Muse si sono date la mano: qui la musica di Verdi risuona con la parola felice di Boiardo e Ariosto e quella misteriosa di Pico della Mirandola e di Savonarola. Poesia e Scienza (Marconi) nell’originale retaggio della cultura italiana, si traducono nella grande tradizione pedagogica di Bologna, la prima delle Università d’Europa.
La realtà culturale multiforme che è la storia e l’attualità della regione Emilia-Romagna, non può essere rappresentata una volta per tutte, ma va ridefinita senza sosta attraverso queste immagini, musiche e scritti. Anche nuovi linguaggi della modernità, dalla tecnologia alla moda sono in gioco perché le sue tradizioni siano “a futura memoria”. Per vivere il presente si può guardare ai problemi del futuro con le risorse certe del passato.
Paolo Fabbri